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Sofia Barbagli

Un anno di presidenza Biden

Con 306 grandi elettori contro i 232 di Trump e il 51% del voto popolare, il 7 novembre 2020 Biden veniva annunciato come vincitore delle presidenziali americane. La percentuale nel voto popolare, sebbene non sia rilevante per la corsa alla presidenza, è esemplificativa del tasso di gradimento del candidato. Un anno dopo, questo dato è sceso al 44%, rendendo Biden uno dei presidenti più impopolari di sempre a un anno dall’elezione, secondo solo a Trump.

L'eredità trumpiana d’altronde non era certo semplice da gestire, con un Paese fortemente diviso sul piano sociale, che aveva subito un grave danno al tessuto produttivo a causa della pandemia, e che aveva iniziato un allontanamento progressivo dal panorama internazionale.


Ma come stanno andando gli obiettivi del programma politico di Biden?


Complice una maggioranza ridotta al Congresso, l’amministrazione Biden sta riscontrando non poche difficoltà nel far approvare la sua agenda politica: lo sbarramento non è rappresentato solo dall’opposizione repubblicana, ma anche da senatori democratici che non condividono le iniziative del presidente. Con un debito pubblico elevatissimo e un’inflazione dilagante, i piani per la spesa pubblica sono stati rivisti al ribasso, così come quelli per la sostenibilità ambientale, diminuendo fortemente anche l’impegno degli USA nei confronti di paesi terzi.

La campagna vaccinale, elemento trainante per la ripresa economica, dopo un picco iniziale si assesta adesso intorno al 60% di vaccinati, un dato molto minore rispetto all’Europa, a causa di uno scetticismo elevato e la mancanza di strategie omogenee per la vaccinazione nei diversi Stati. Nonostante ciò, l’economia sta registrando una crescita record, con una disoccupazione che si torna ad avvicinarsi ai livelli del 2019.


Dopo essere rientrato nell’accordo di Parigi all’inizio dell’anno, riferendosi al piano di investimento multimiliardario sul clima, Biden ha affermato che “su questo si deciderà la mia presidenza”. Il piano inizialmente presentato dal presidente è uscito fortemente ridimensionato dalla discussione al Congresso, destinando 550 miliardi di dollari - circa la metà di quanto preventivato- per la lotta al cambiamento climatico. Si tratta comunque dello stanziamento di una cifra senza precedenti, ma molto lontana da quella che, nelle intenzioni del presidente avrebbe dovuto inaugurare la nuova stagione dell’America green, leader del mondo nella sfida alle emissioni zero entro il 2050. Un piano ambizioso, ma la cui realizzazione sembra fin troppo lontana. Lo sviluppo sostenibile potrebbe non avere incontrato ostacoli solo al Congresso: in Virginia, stato produttore di carbone, è stato eletto un nuovo governatore repubblicano, che potrebbe quindi muoversi in direzione diversa rispetto alle direttive climatiche. Ciò rappresenta inoltre un chiaro segno della perdita di terreno dei democratici, che avevano vinto in Virginia alle elezioni del 2020 e che sono riusciti a riconfermare un governatore democratico in New Jersey soltanto per pochi voti.


Il disastroso ritiro dall’Afghanistan ha rappresentato poi il fondo per la credibilità americana, sia per quanto riguarda l’opinione dei cittadini, sia quella dei partner NATO, che hanno visto il disimpegno del maggior finanziatore e paese di riferimento dell’alleanza. Ad un allontanamento dal patto atlantico, ha corrisposto anche un peggioramento delle relazioni bilaterali con la Cina, in un paradigma in cui la guerra si è spostata dal piano economico delle sanzioni - imposte da Trump- al piano militare. Mentre la Cina sperimenta i primi missili ipersonici, segnando un primato tecnologico paragonabile al lancio del satellite russo Sputnik durante la guerra fredda, gli Stati Uniti fanno sapere che si impegneranno a garantire l’indipendenza di Taiwan. Sempre in un’ottica di contenimento dell’espansionismo cinese nel Pacifico, USA, Regno Unito e Australia hanno firmato il patto di sicurezza AUKUS per dotare quest’ultima di sottomarini a propulsione nucleare. Si tratta del primo accordo di difesa militare in decenni, siglato in aggiunta al di fuori della NATO, cosa che destato preoccupazioni non solo in Francia, con cui l'Australia aveva siglato un contratto milionario per la vendita di sottomarini, ma anche in Europa e negli altri paesi alleati dell’organizzazione. L’Europa può però tirare un respiro di sollievo per quanto riguarda il ban imposto da Trump sull’importazione di alluminio e acciaio, segnando così un riavvicinamento con Bruxelles.


Non va meglio con l’argomento migranti. L’interruzione della costruzione del muro con il Messico e l’abrogazione del “muslim ban”, non hanno migliorato la situazione degli ingressi negli USA. Le promesse di un maggior impegno per l’accoglienza non rispecchiano infatti la realtà, in cui migliaia di migranti sono respinti al confine con il Messico e più di 1 milione arrestati alla frontiera: se ve lo state chiedendo sì, sono in numero maggiore rispetto a quando Trump cercava di limitare con qualsiasi mezzo l’immigrazione verso gli States.


Dopo un anno di presidenza Biden possiamo quindi riscontrare una certa disillusione nel suo elettorato, soprattutto per quanto riguarda la classe media suburbana che si era rivelata fondamentale per la vittoria delle elezioni. Gli insuccessi e i successi parziali della sua amministrazione stanno infatti rinvigorendo il malcontento della popolazione e così anche l’opposizione repubblicana, che dopo lo sfaldamento post-Trump può riorganizzare il proprio partito e proporsi come soluzione rispetto ai democratici.

Se Biden aveva voluto porsi da subito in contrapposizione con le politiche “America first” di Trump, possiamo dire che dopo un anno solo pochi traguardi sono stati raggiunti. La leadership americana nel mondo è sempre più in dubbio, da un lato per il crescente multilateralismo a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, dall’altro per il ritorno di una polarizzazione tra est e ovest.


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