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Trump vs Biden: il rush finale

Uno degli gli eventi con maggiore risonanza globale è sicuramente l’elezione del Presidente degli Stati Uniti, niente meno che l’uomo più potente al mondo. Ogni quattro anni la popolazione degli States è chiamata a decidere quale tra i candidati dei due grandi schieramenti politici rappresenterà l’America nel prossimo mandato quadriennale.


Nonostante l’importanza attribuita a questo evento, solitamente non si registra una grande affluenza al voto, che è stimata attorno al 40% degli aventi diritto. Il 2020 rappresenta quindi un anno da record, dato che queste elezioni sono riuscite a mobilitare quasi il 70% della popolazione. Il superamento della soglia di votanti non è l’unico dato storico di queste elezioni: la spesa per la campagna elettorale è la più alta di sempre e la spaccatura tra visioni politiche, sia nei programmi dei due contendenti sia negli animi dei cittadini, è divenuta insanabile.


Biden ha ottenuto voti da parte di molti giovani, minoranze etniche non ancora integrate, popolazione afroamericana e da parte di tutti coloro che si ponevano in contrapposizione al governo di Trump, inclusi i repubblicani insoddisfatti dalle politiche del proprio leader. In questo senso il candidato democratico si è posto come l’unica alternativa possibile rispetto alle scelte spesso inconsiderate dell’attuale Presidente e le elezioni hanno assunto più un carattere di referendum abrogativo della figura di Trump.


Il presidente uscente, dal canto suo, come nelle elezioni del 2016 ha saputo attirare molti voti della maggioranza bianca egemonica e del sud militarista, sapendosi porre come simbolo del comune senso di insoddisfazione verso l’establishment politico tradizionale.


La “blue wave”, ovvero l’onda blu dei democratici che secondo molti sondaggi sarebbe stata prevalente in tutto il Paese, non si è rivelata tale, dato che si sono tenuti diversi testa a testa in molti stati chiave e i voti ottenuti dal candidato repubblicano sono stati addirittura in aumento rispetto ai voti ricevuti nell’elezione del 2016 che lo ha portato alla Casa Bianca.


Nonostante lo spoglio dei voti legittimi la vittoria di Biden, Trump sembra non accettare il risultato delle elezioni ed ha già intrapreso delle battaglie legali per contestarne la validità. Al grido di “stop the count” ha infatti cercato di far sì che ogni voto arrivato presso l’ufficio elettorale competente dopo l’election day non fosse conteggiato.


Durante la campagna elettorale, il Presidente repubblicano aveva sostenuto più volte come il voto via posta potesse nascondere delle possibilità di frode e che si sarebbe battuto qualora lo spoglio dei voti si fosse protratto oltre la notte del 3 novembre. Proprio in questa ottica raccomandava ai suoi elettori di recarsi personalmente al seggio elettorale, alimentando in loro il sospetto verso il voto via posta e di fatto creando uno svantaggio in una situazione che lo avrebbe invece potuto favorire per ottenere maggiori consensi al di fuori del voto classicamente espresso. In realtà il voto via posta ha una lunga tradizione e sebbene Trump gridi al broglio elettorale, il New York Times ha chiarito come si tratti di un metodo estremamente preciso che rende le frodi un evento più unico che raro. In questo anno di record, anche il voto via posta ha registrato un notevole incremento, essendo la modalità di voto preferita da circa 80 milioni di americani, complice anche l’epidemia da Covid-19 che ha scoraggiato molti elettori dall’intraprendere le lunghe file ai seggi. Nonostante ciò, già la mattina del 4 novembre gli elettori repubblicani hanno ricevuto nella propria newsletter una e-mail del Presidente che li esortava a fornire il loro appoggio per difendere il risultato delle elezioni dal tentativo di “furto” dei democratici.


Oltre a minare la base su cui si fonda la democrazia in America, democrazia di cui lo stesso Trump si fa latore, queste azioni potrebbero rivelarsi estremamente pericolose e potrebbero scatenare disordini nel Paese, che è già molto scosso dalle derive delle manifestazioni a favore e contro il movimento Black Lives Matter. C’è da dire che le divisioni all’interno del Paese sono ormai estremamente radicate e neanche la vittoria di Biden, personaggio che ha preso parte alla scena politica degli ultimi 40 anni, riuscirà a porre fine alle rivendicazioni da entrambi i lati. Anche con la sconfitta del candidato repubblicano, gli ideali del Trumpismo non si esauriranno con lui perché le sue idee sono ormai state assorbite e fatte proprie da una larga parte della popolazione, soprattutto le classi medio-basse.


Ma non basta vincere le elezioni. Per avere la strada spianata durante il turno di presidenza è fondamentale ottenere la maggioranza al Congresso, che si occupa del passaggio delle leggi e dell’agenda della Casa Bianca, e al Senato, che si esprime invece per le designazioni di cariche fondamentali come i giudici della Corte Suprema e le nomine governative. Attualmente non si è delineata una maggioranza precisa, perché molti seggi rimangono ancora da assegnare.


Insomma queste elezioni, a diversi giorni dalla chiusura del voto, rimangono ancora un grande interrogativo. La battaglia tra i candidati non si ferma qui ed è plausibile che ci vorrà ancora del tempo prima di poter mettere la parola fine alla contesa. Nei giorni scorsi Trump aveva dichiarato attraverso un tweet che in caso di vittoria di Biden avrebbe lasciato il Paese per sempre, suscitando un certo sollievo nel suo avversario politico, che lo aveva congedato con un semplice ma carico di significato “Bi den”.


Rimane da capire se Trump darà effettivamente seguito alla sua affermazione oppure continuerà per vie legali. Una cosa è certa: l’8 dicembre è il termine ultimo per concludere un eventuale riconteggio delle schede ed entro il 14 dicembre il nome del Presidente deve essere definitivo.


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