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Next Generation EU: una nuova speranza per l'Europa

Una nuova speranza per l'antico continente
Una nuova speranza per l'antico continente - Credits: Garry Knight

Da ormai quasi un anno l’economia mondiale ha subito un rallentamento senza precedenti che ha interessato pressoché tutti i settori produttivi a livello mondiale: siamo di fronte a quello che gli economisti chiamano shock simmetrico, i cui effetti hanno impattato sulla vita di innumerevoli lavoratori e le loro famiglie.


Per far fronte a questa emergenza, si è reso necessario ricorrere a forme di intervento pubblico eccezionali. Oltre al Quadro Finanziario Pluriennale, ovvero il bilancio settennale dell’Unione, che mette a disposizione ingenti risorse per il periodo 2021-2027, l’Unione Europea ha raggiunto l’accordo definitivo per il cosiddetto Recovery Fund, appellativo improprio del più esteso programma di aiuti Next Generation EU, di cui gli Stati membri potranno beneficiare durante i prossimi 5 anni per dare un nuovo impulso all’ economia e per provare ad uscire rafforzati dalla crisi pandemica. NGEU è suddiviso al suo interno in diversi programmi di spesa: il primo e più ingente, di cui si sente spesso parlare, è il Recovery and resilience facility (da qui il nome Recovery Fund). Sempre nell’ambito di NGEU, 77,5 miliardi vengono assegnati per ampliare le risorse di altri programmi già esistenti, attraverso i piani React-Eu, Resc-EU, Horizon Europe, InvestEU, il fondo per lo sviluppo rurale ed il fondo per una transizione giusta. Ognuno di questi fondi ha delle condizionalità particolari:


  • Recovery and resilience facility (672,5 miliardi) prevede che ogni Paese investa un minimo stabilito di risorse per specifici programmi: il 37% per finanziare la transizione ecologica e il 20% per la digitalizzazione;

  • React-Eu (47,5 miliardi) mette a disposizione fondi per finanziare i programmi della politica di coesione e sostenere l’occupazione nei settori maggiormente colpiti dalla crisi, come sistemi sanitari, piccole e medie imprese, cultura e turismo;

  • Resc-EU (1,9 miliardi) alloca fondi per rafforzare il piano di protezione civile in caso di catastrofi naturali, emergenze mediche ed umanitarie;

  • Horizon Europe (5 miliardi) aggiunge risorse al programma per il finanziamento di ricerca e innovazione previsto nel quadro pluriennale;

  • Invest EU (5,6 miliardi) mira a mobilizzare investimenti pubblici e privati per dare impulso all’innovazione e alla creazione di posti di lavoro;

  • Fondo per una transizione giusta (JTF) (10 miliardi) favorisce la transizione verso la neutralità climatica per quelle realtà che devono affrontare gravi sfide economiche e sociali;

  • Sviluppo rurale (7,5 miliardi) si inserisce nella più ampia politica di sostentamento per i progetti che incentivano le attività agricole.


La cifra totale stimata arriva a 750 miliardi, che l’UE finanzierà quasi interamente con l’emissione di titoli sui mercati. Di questi, 360 miliardi del Recovery and resilience facility saranno erogati come sovvenzioni (cioè “regalati” agli Stati), mentre i restanti 390 miliardi saranno sotto forma di prestiti, la cui restituzione sarà spalmata su un periodo di 30 anni a partire dal 2027. C’è da dire che anche le sovvenzioni non saranno proprio un regalo: per ripagare i creditori, l’Unione programma infatti l’imposizione di tasse comunitarie che ricadranno direttamente sui cittadini degli stati membri. Le ipotesi al vaglio sono una tassa sulla plastica, una tassa sul digitale, una tassa sul carbone e un prelievo sugli scambi di quote di emissioni nel sistema ETS, in modo da favorire al contempo una maggiore attenzione ambientale.


Salvo l’ammissione di un anticipo pari al 13%, gli aiuti economici arriveranno come rimborsi, dopo cioè che gli Stati avranno impiegato risorse per finanziare progetti in linea con gli obiettivi di Next Generation EU. Si potranno però considerare ai fini del finanziamento anche i progetti avviati a partire da febbraio 2020, che rispettino i principi delineati in NGEU. È importante sottolineare che se gli obiettivi non verranno centrati, lo Stato non vedrà un centesimo dei fondi stanziati, per cui l’occasione rischia di sfumare se non sfruttata a dovere.


La prima tranche delle sovvenzioni del Recovery and resilience facility, pari al 70% della somma totale, dovrà essere impegnata nel periodo 2021-2022 (mentre il restante 30% nel 2023) ed è stata ripartita secondo i seguenti criteri: il tasso di disoccupazione nel periodo 2015-2019, l’inverso del PIL pro capite e la quota di popolazione. Per quanto riguarda React-Eu, i finanziamenti sono stati attribuiti in baso all’impatto della crisi pandemica sull’economia, tenendo conto soprattutto della disoccupazione giovanile. In base a queste condizioni, l’Italia risulta essere il Paese che beneficerà maggiormente dei due più consistenti fondi di NGEU. Complessivamente, considerando anche gli altri fondi, si arriva ad un ammontare di circa 209 miliardi (81,4 di sovvenzioni e 127,6 di prestiti).


Per poter usufruire dei fondi, ogni Stato dovrà redigere un proprio piano nazionale di spesa, da presentare alla Commissione entro il 30 aprile 2021. Anche se il documento ufficiale non è ancora stato rilasciato, l’ultima bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) diffusa dal Governo in data 7 gennaio 2021, stima necessario l’investimento di 222,03 miliardi (impiegando il 70% dei fondi previsti), tra aiuti derivanti da NGEU e una parte dei contributi del Fondo per lo sviluppo e la Coesione previsti dal bilancio europeo 2021-2027, per assicurare un aumento del PIL di circa 3 punti percentuali e un incremento occupazionale significativo per raggiungere la media europea. I diversi partiti, sia quelli di opposizione che quelli che fanno parte della maggioranza, sono molto divisi su come utilizzare i soldi del “Piano Marshall del XXI secolo”, ed è dunque probabile che questa non sia la bozza definitiva.


Come anticipato, alcune priorità di spesa sono intrinseche all’utilizzo dei fondi stessi. Il resto dei soldi comunitari dovrà essere impiegato per piani di risposta alla crisi e per progetti che seguano le annuali raccomandazioni della Commissione e del Consiglio dell’Unione Europea che per l’Italia, oltre a mettere in risalto la necessità di una trasformazione in senso ambientale e digitale, auspicano una maggiore attenzione all’istruzione e alle politiche attive per il lavoro, in particolare riguardo a giovani, donne e gruppi vulnerabili, insieme alla lotta contro il lavoro sommerso e le spese accessorie, al fine di ridurre il carico fiscale sui cittadini. Si sottolinea inoltre l’esigenza di riformare le infrastrutture del Paese, con attenzione alle ingenti disparità regionali. Non ultima l’importanza di accompagnare la ristrutturazione con riforme in campo burocratico e giuridico.


Attualmente il piano italiano prevede un cospicuo aumento degli investimenti sulle strutture economiche del Paese, piuttosto che l’istituzione di nuovi sussidi che servono a creare soluzioni nel breve termine, aumentando l’assistenzialismo. Il PNRR è suddiviso in 6 missioni:


1)Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (45,86 miliardi, di cui fa parte anche lo sviluppo del turismo);

2)Rivoluzione verde e transizione ecologica (68,9 miliardi, che comprendono lo sviluppo di agricoltura sostenibile, energia rinnovabile e mobilità sostenibile, insieme alla riqualificazione degli edifici);

3)Infrastrutture per una mobilità sostenibile (32 miliardi per rete ferroviaria ad alta velocità, manutenzione stradale e logistica integrata);

4)Istruzione e ricerca (27,9 miliardi per potenziamento diritto allo studio, qualità didattica a tutti i livelli, e lo sviluppo innovativo attraverso la ricerca);

5)Inclusione e coesione (27,6 miliardi comprendono politiche per il lavoro [12,7 miliardi], infrastrutture sociali per settori svantaggiati ed interventi di coesione territoriale per una maggiore integrazione del Meridione)

6)Salute (19,7 miliardi).


In linea con quanto espresso nelle indicazioni della Commissione, gli investimenti verranno affiancati da riforme legislative per quanto riguarda il sistema burocratico, il sistema fiscale, la giustizia civile, ed il mercato del lavoro. D’altro canto donne, giovani e Mezzogiorno sono considerate come priorità trasversali in tutte le componenti del piano.

Infatti, rispetto alla precedente bozza del documento, le allocazioni per istruzione e inclusione sono aumentate di circa 10 miliardi ciascuna, segno di una maggiore apertura all’investimento verso alcune delle fasce più colpite dagli effetti della pandemia.


Tuttavia, nonostante i criteri per la ripartizione dei fondi si basino preminentemente sulla disoccupazione registrata negli ultimi anni, e quindi l’Italia abbia avuto la precedenza nell’assegnazione di tali concessioni, la bozza del PNRR assegna uno spicchio non molto consistente per l’inserimento nel mondo del lavoro e la formazione professionale per le nuove competenze che verranno introdotte con il piano di riforma nei prossimi 6 anni. Oltre ad essere il Paese Europeo con la minore percentuale di laureati, chi ottiene un diploma universitario e trova lavoro in Italia è per lo più disallineato rispetto alle esigenze del mercato occupazionale. Inoltre, secondo dati Eurostat del 2019, la percentuale di giovani che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in corsi di formazione (i cosiddetti “NEETs”), si assesta intorno al 27,8% per giovani tra i 20 e i 35 anni, rispetto ad una media europea del 16,4%. Per quanto riguarda la fascia 15-24, nel 2019 il divario con il resto d’Europa si avvicinava al doppio, mentre nel 2020 è aumentato notevolmente fino a raggiungere un 33% a fronte del 12,5% in EU, con alti tassi di abbandono scolastico. Oltre a ciò, al termine del provvedimento sul blocco dei licenziamenti il 31 marzo 2021, ci troveremo faccia a faccia con una realtà ancora più drammatica, per cui le politiche sul lavoro, per la formazione e il reinserimento saranno di vitale importanza per tutte le fasce della società.


Questa situazione di incertezza e precariato porta i nostri connazionali ad espatriare, andando a cercare una retribuzione fuori dai confini nazionali, e rende l’Italia un luogo non attrattivo per talenti stranieri, provocando dunque una perdita potenziale per il settore economico italiano.


Tutto ciò è preoccupante, dato che saranno proprio i giovani di oggi a dover fare i conti, nei prossimi anni, con i risultati di questo ciclo di riforme. È quindi necessario che le risorse impiegate vengano sfruttate nel migliore dei modi per poter dare delle garanzie per il futuro alla classe che sarà impegnata a ripagare il debito contratto per attuare il più grande piano di investimenti della storia. Non scordiamoci che i fondi dovranno essere spesi entro il 2026, pena il rischio di non incassare i rimborsi: non dovranno quindi esserci ritardi o inefficienze.


La classe politica ha una grande opportunità, ma allo stesso tempo una pesante responsabilità: agire in modo coordinato e cooperativo per assicurare una giusta transizione che tenga conto delle necessità di tutti i settori e tutte le fasce produttive. Degli interventi lenti, confusi, o contraddittori sono estremamente pericolosi perché potrebbero trasformare la crisi da Covid-19 da uno shock simmetrico ad uno asimmetrico, in cui aumenterebbe il divario tra economie avanzate in grado di attuare piani di sviluppo concreto, ed economie relegate al secondo posto.


I 209 miliardi di Next Generation EU, sommati ai quasi 100 previsti dal bilancio settennale europeo per la nostra nazione, saranno sufficienti per creare un nuovo volto dell’Italia? E tu, che cosa faresti con 309 miliardi?

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