Nella sua opera più famosa, l’interpretazione dei sogni, Sigmund Freud partendo dalle intuizioni filosofiche di Arthur Schopenhauer, arrivò a teorizzare l’esistenza di una forza psichica a noi inaccessibile, l’inconscio. Secondo Freud è questo il luogo in cui risiedono traumi e i desideri repressi, una dimensione individuale della psiche che, attraverso varie modalità, influenza continuamente il nostro modo di pensare e agire.
Secondo Jung, “figlio putativo” di Freud, oltre l’inconscio individuale esisterebbe però anche un secondo tipo di inconscio quello collettivo, che agendo in una “dimensione comune” influenzerebbe in maniera altrettanto importante la vita dell’individuo.
Analizzando i contenuti dei suoi stessi sogni e attraverso le esperienze cliniche con i suoi pazienti psicotici, Jung intuì come alcune delle tematiche universalmente condivise quali l’amore, il sesso, la maternità, la paura, il bene o il male, riuscissero a superare la dimensione culturale e temporale, sedimentandosi dentro ognuno di noi. L’inconscio collettivo rappresenta quindi la parte più arcaica della nostra psiche, una costruzione archetipica che racchiude dentro di sé le esperienze filogenetiche dell’intera umanità. L’inconscio personale diventa così il filtro attraverso il quale noi attribuiamo un significato alle immagini archetipiche che si originano nell’inconscio collettivo, ed è il legame tra questi due livelli di inconscio a rendere ogni essere umano unico.
Quest’energia psichica si modifica con il tempo, ogni generazione infatti porta con sé cambiamenti culturali, sociologici e ambientali e tutto ciò ha un impatto sulla nostra mente, che crea nuovi archetipi nell’ inconscio. Ma in un tempo come il nostro, segnato dalla più devastante delle pandemie, dal disastro ambientale e dai drammi economici, come può la nostra psiche non avvertire un senso di perdita, di solitudine e di tristezza?
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