Autore: #FulvioAdelfio
Il 1995 ha rappresentato una svolta per il sistema pensionistico italiano, con la riforma Dini viene introdotto un sistema che determina la pensione in funzione dei contributi e non più del salario. Tale struttura combina un sistema a ripartizione con una nuova metodologia di calcolo dei benefits.
Il sistema a ripartizione, criterio di gestione del sistema previdenziale, basa la sua struttura su un accordo intergenerazionale: i contributi versati da tutti i lavoratori in un determinato periodo di tempo, vengono utilizzati per coprire le pensioni del medesimo periodo. È intuibile sin da subito come questo sistema si basi su un equilibrio demografico, che negli anni ne ha minato la struttura. Inoltre, fino ai primi anni ’90, i requisiti anagrafici e contributivi per il pensionamento non erano particolarmente esigenti ed uniti ad una metodologia di calcolo della prima pensione agevole per il cittadino, hanno compromesso la stabilità dell’intero sistema.
Oggi, la spesa pubblica per il sistema previdenziale rispetto al PIL si attesta al 16,6%, circa 293 miliardi di euro. Numerose sono state le riforme che, nell’ultimo ventennio, hanno tentato di riportare il sistema in equilibrio ed al contempo di ridurre la spesa pubblica. Ad esempio, la recente riforma Monti Fornero del 2011, che ha uniformato il calcolo contributivo delle pensioni anche per quei lavoratori non inclusi nelle precedenti riforme, si stima che abbia fatto risparmiare quasi 30 miliardi di euro.
Credi che l’attuale sistema potrà reggere i prossimi sviluppi, o necessiterà di nuove riforme?
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