Miglioramento è necessariamente un sinonimo di cambiamento? Ecco, questa è una domanda che da un po’ di tempo a questa parte mi sta tartassando. Non tanto per il quesito in sé eh, quanto per la risposta che io, personalmente darei. In modo schietto, dal mio punto di vista, assolutamente no, perché ritengo siano due concetti diversi.
Eppure, per quale motivo mi sento così a disagio e poco in pace con me stesso nel dare questa risposta, mi chiedo. Del resto sono certo che sono due parole diverse, nei dizionari non sono neanche considerati sinonimi (almeno così è l’ultima volta che ho controllato, se nel frattempo è cambiato qualcosa, commentate sotto o scrivetemi, e potete anche fermarvi qua, perché la mia argomentazione si sgonfia come un palloncino al sole). Infatti, del tutto convinto della mia posizione non lo sono (e quindi il vocabolario che avete visto è lo stesso mio se avete continuato a leggere).
Passa del tempo, e inizio ad attanagliarmi con domande del tipo: che cosa ho che non va? Essere o non essere? Anzi, cambiamento è miglioramento? Ed ecco che, dopo alcune riflessioni, arrivo a una sorta di illuminazione. Ripenso ad alcune esperienze personali (quindi nessun riferimento è a fatti o personaggi di pubblico interesse, sia chiaro), mi guardo metaforicamente attorno e capisco di sbagliare un punto, uno solo, unico, ma di grande valore e spessore: la prospettiva.
Il punto di vista è fondamentale in certe questioni amletiche, perché determina necessariamente cosa e come la pensiamo su determinati argomenti. Io, che subito avrei detto no, mi ritrovo invece circondato da un nutrito gruppo, anzi meglio definirlo collettivo, che, unito dallo stesso punto di vista, cambiamento e miglioramento siano utilizzabili in ugual modo, condividendo l’idea che le due parole siano sinonimi, o addirittura la stessa.
Giustamente, mi pongo il dubbio, quindi. Forse cambiamento è miglioramento. I due concetti esprimono la stessa cosa, inizio a pensare. Ho sbagliato tutto questo tempo, quindi? No, mi rispondo, e alla fine rimango fermo sulla mia posizione, non trovando nessun tipo di ragione che mi spinga a credere come altri che si possa utilizzare sostituire la parola cambiare con migliorare (e non spassionatamente, ma con un obiettivo e una coscienza, cui poi ci arriveremo più tardi).
Per rendere un po’ più chiaro quello che sto scrivendo, farei un passo indietro a questo punto, e partirei dai significati delle parole cambiare e migliorare, guardando ciò che riporta la Treccani.
Cambiare è definito come “rendere diverso, trasformare[…], trasformarsi, assumere aspetto o natura diversa” (https://www.treccani.it/vocabolario/cambiare/).
Migliorare significa “rendere migliore, portare in migliore stato (anche in senso concr. e materiale), o perfezionare, correggere […] introducendovi opportuni emendamenti; […] e in senso spirituale, intellettuale, morale” (https://www.treccani.it/vocabolario/migliorare/)
Il “rendere diverso” che si contrappone al “rendere migliore”: quindi non sono la stessa cosa. In qualche modo, però, siamo arrivati a usare le due parole come due sinonimi, unendole a livello astratto? Che cosa spinge molti a sostituire cambiare direttamente con migliorare?
Ecco, proprio nella parola direttamente si trova il nodo centrale della questione. Infatti, la connessione tra le due parole c’è, eccome se c’è. Poniamoci quest’altra domanda: perché cambiare? Per migliorare, la risposta è quasi ovvia. Chi mai vorrebbe un cambiamento per peggiorare una situazione? Un masochista, una persona con cattive intenzioni, chi ha perso ogni speranza nella vita, o quasi al contrario è molto ironico.
Insomma, tolti questi casi eccezionali, se così stanno le cose, possiamo dire che cambiamento è miglioramento! Eh no, semmai possiamo azzardare, ma, ecco, si tratta pur sempre di un rischio. Migliorare è il fine, l’obiettivo del cambiare qualcosa. In nessun modo, dal mio punto di vista, dovremmo confondere le due parole nel loro utilizzo, o peggio sovrapporle, introducendo l’elemento d’intenzionalità che rende il tutto malizioso e diabolico (del resto errare è umano invece).
Ciò implica che i due segni, differenti non solo a livello denotativo, ma che per molto tempo lo sono stati anche sul piano connotativo, sono arrivati ad avere la stessa ascrizione e attribuzione di significato solo tramite un lavoro socio-culturale di diffusione protratta da persone e i mezzi di comunicazione a disposizione. Ciò che muove tutto è una grande operazione sociale che da anni è protratta in qualsiasi contesto, dal piccolo e privato al grande e pubblico.
Del resto il cambiamento fa un po’ paura, è sempre un rischio, e quindi va quasi venduto, promettendo un guadagno sicuro, che è il miglioramento. Perciò tutto è pubblicizzato, attraverso un Tone of voice (utilizzando una parola tanto in voga oggi) che ha contribuito a mettere in piedi questo fenomeno: un atteggiamento propositivo, proattivo, e soprattutto ottimista e positivo, perché cambiare… esatto, è migliorare signori miei! Cambia macchina, cambia vestiti, cambia lavoro, cambia partner, cambia città, cambia organizzazione, cambia, cambia, cambia, cambia, cambia: tutto migliorerà. Ma davvero è sempre necessariamente così?
Ora, dopo un’argomentazione del genere, voglio mettere in chiaro una cosa, chiara e tonda: credo nel cambiamento e nel progresso. Fossilizzarsi lo ritengo sbagliato, perché, del resto, la maggior parte dei fossili che conosco sono 1) vecchi 2) estinti, ed io di fare quella fine non ne ho voglia. Credo che di passi in avanti ne abbiamo da fare, di rotte nuove da intraprendere e di territori diversi da esplorare. Sono convinto che adesso, come società moderna e occidentale soprattutto, siamo in una fase caratterizzata da una stasi e stagnazione che, per quanto a parole sembriamo attenti a tanti temi sensibili e d’impatto sociale, culturale, ma soprattutto civile, nei fatti siamo ancora fermi, nel grande, ma soprattutto nel piccolo del nostro orticello (non credo che discorsi ben confezionati, post sui social creati alla perfezione, e storie in cui mostriamo tutto il nostro interesse e coinvolgimento siano sufficienti, anzi li considero alla stregua di un palliativo per la propria coscienza, un puro atto egoistico per sentirsi meglio, o peggio, per far vedere come siamo persone buone, belle, e migliori degli altri). Credo davvero che sia necessario ogni giorno di più fare qualcosa di concreto, per andare avanti su tanti temi, ridurre le disuguaglianze e lasciare un mondo e una società migliore di quella che abbiamo trovato. Credo, insomma, che sia giusto cambiare per migliorare.
E quindi alla fine, dopo tutta questa critica, vi chiederete voi, con stupore, o forse più che altro confusi: “tu credi che cambiare sia migliorare, quindi?” No, io credo che per migliorare si debba cambiare, ma non per questo le due cose possono essere utilizzate per esprimere lo stesso concetto. Si tratta di un processo, spesso difficile e mai scontato, dove prima avviene il cambiamento, e poi i frutti possono essere buoni, risultando in un miglioramento. Esiste anche il rischio del totale opposto, dopotutto: il fallimento, una possibilità da contemplare in certe situazioni.
In altre parole, diffido di chi dice che cambiamento è miglioramento, a prescindere e preventivamente, ma mi fido di chi propone di cambiare perché è un’opportunità, che può portare un miglioramento. Si deve sempre aprire a una possibilità, a una speranza, e a credere in qualcosa, ovvero nel migliorare grazie al cambiamento. Al contrario, non si deve sfociare nella sfacciataggine e nell’arroganza di chi subito parla di miglioramento quando vogliamo cambiare qualcosa, perché ritengo (ma questo è solo un mio pensiero) che si sottostimi, qua riprendo la definizione citata in precedenza, cosa voglia dire rendere diverso, e il relativo il percorso per far sì che lo possa realmente trasformare concretamente nel rendere migliore.
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